"It’s not me, it’s you" è l’output del più ampio progetto di ricerca che ha premiato il curatore Mattia Capelletti con la borsa di studio e di ricerca messa a disposizione da Cripta747 Residency Programme 2021
«Chi è?» «Sono io!». Ogni volta che, al citofono o al telefono, rispondiamo in questo modo, ci affidiamo al potere della voce di comunicare la nostra singolarità, attraverso il timbro, che si fa traccia della differenza. Eppure, le identificazioni articolate attorno alla voce sono tutt’altro che inequivocabili, ma complesse e mutevoli.
“Ogni essere umano desidera ricevere da un altro il racconto della propria storia”, scrive Adriana Cavarero. Identificarsi nell’altrə significa ri-conoscersi nella sua voce, che “ci dice” qualcosa di noi.
Ma cosa succede quando veniamo espropriatə della nostra voce da chi pretende di rappresentarci? Le attuali tecnologie di riconoscimento vocale diventano sempre più spesso strumenti di controllo, la cui logica è fondata su pregiudizi razziali e di genere: siamo raccontati invece di raccontarci.
It’s not me, it’s you è il racconto del sé attraverso voci altrə, amplificato dall’arte e dalla musica; è la riappropriazione del proprio discorso, “prendere la parola” attraverso la tecnologia. Lə artistə, sovvertendo la funzione degli strumenti di ascolto per farne emergere le criticità, o affidandosi alla voce dell’altrə per raccontarsi, ci aiutano a ripensare molti dei luoghi comuni associati alla voce umana, scardinare binarismi radicati, e dislocare la presunta identità fra il sé e la voce.
SALIM BAYRI
La sua ricerca si interessa al rapporto tra globale e locale, mai messo completamente in crisi dalla rivoluzione digitale, indagato sia con l’ironia partecipata di un nativo tecnologico, che con il distacco critico di chi è portato a riconoscerne limiti e distorsioni. In questo senso, la sua soggettività diasporica e migrante diventa così una disposizione verso il fare artistico, piuttosto che necessariamente tematizzata.
In Hadra Collider, Bayri sfrutta i limiti della tecnologia “speech-to-text” nel riconoscere diverse lingue, per avviare un dialogo improvvisato con la macchina. Prendendo le mosse da una semplice descrizione del contesto in cui si trova, Bayri lascia che l’algoritmo interpreti erroneamente le sue parole (in lingue differenti), generando un “feedback loop”, una surreale “commedia degli errori”. In questo modo Bayri indica una via generativa all’utilizzo artistico dell’errore della macchina, in bilico tra violenza algoritmica e tecnofilia.
EIMEAR WALSHE
Il lavoro presentato nel contesto di It’s not me, it’s you è emblematico: Jolene prende le mosse dall’omonima canzone di Dolly Parton (che tratta di infedeltà eterosessuale) per parlare dell’esperienza di crescere da persona queer non-binaria in un contesto rurale e conservatore. La voce e la scrittura di Dolly Parton – soggetto dirompente nell’ambiente altrimenti fortemente tradizionalista della musica country e icona del mondo queer per le sue rivendicazioni politiche – diventano per Walshe uno strumento per raccontare la sua storia personale attraverso la voce di un’altrə. Jolene unisce storytelling e canto, tecnologie da “edutainment” (una presentazione PowerPoint) il cui istituzionalismo è sovvertito dall’uso degli elementi di scena (l’artista veste un costume da cowgirl/boy), in un racconto intimo e universale, tanto malinconico quanto ironico.
PEDRO OLIVEIRA
La sua ricerca si è recentemente concentrata sull’uso, da parte dell’Ufficio Migrazione tedesco (BAMF), di un algoritmo di riconoscimento dell’accento dialettale nelle pratiche di assegnazione dell’asilo politico. Tale sistema di ascolto automatizzato, teoricamente in grado di determinare l’origine di un richiedente asilo in base al suo accento, si è rivelato tutt’altro che affidabile quando, nel 2018, il cittadino iracheno Hajar, vede negata la richiesta di asilo perché il suo dialetto non è presente nel data-set dell’algoritmo. DESMONTE, la nuova composizione per sintetizzatore modulare e voce pre-registrata presentata da Pedro Oliveira per It’s not me, it’s you, applica alla voce della cantante death metal Fernanda Lira tecniche di sintesi simili a quelle in uso al BAMF, per una riflessione astratta quanto viscerale sulla violenza algoritmica e la sua riproduzione di sistemi di oppressione coloniali.